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Beatles e Rolling Stones, ascoltati come se fosse oggi

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Nel 1962, Beatles e Rolling Stones iniziavano quasi in parallelo il loro percorso nella storia della musica, un percorso che continua tuttora, sia nei concerti degli Stones rimasti (3 su 5, ma con entrambi i 2 leader Mick Jagger e Keith Richards in formazione) e dell'ultimo beatle ancora in attività, Paul McCartney, sia soprattutto nella influenza che la loro musica, il loro approccio comunicativo, continuano a trasmettere nel mondo della musica rock e della musica in generale.

Viaggio nel tempo

Intanto la prima considerazione sorprendente e' che a decenni di distanza si ascolta ancora la loro musica, ed è viva la loro influenza, a cominciare dai gruppi che hanno continuato il loro stile (Oasis o Dandy Warhols, per fare due esempi). Certo così non era ai loro tempi, certo nessuno, se non studiosi o nostalgici, ascoltava nel 1962 la musica del 1922, né se ne ravvisavano gli influssi, se non abbondantemente mediati.

Proviamo quindi a viaggiare indietro nel tempo e ad ascoltare i dischi più significativi dei due gruppi con in mente la cultura musicale di oggi, ma provando a dimenticare chi sono gli autori e a togliere quell'aura sacra e intoccabile che avvolge i loro dischi.

Quindi un doppio esercizio: ascoltarli con le orecchie di oggi, ma collocandosi temporalmente negli anni '60, quando in fondo erano solo due gruppi tra i tanti, non due riconosciuti miti.

Dischi sotto esame

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Prendiamo in esame due dischi di svolta: Revolver dei Beatles e Aftermath degli Stones, i lavori con i quali i due gruppi hanno abbandonato l'album come antologia di successi per approdare all'album come opera artistica a sé stante.

Per iniziare, l'ascolto a mente aperta dei dischi fornisce una prima impressione d'insieme, e consente di individuare le differenze di fondo tra i due gruppi.

Revolver

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Un disco dei Beatles, come per esempio Revolver, ma anche il cosiddetto White Album, o Sgt. Pepper, esprime bene le loro caratteristiche, intanto l'eclettismo del gruppo, formato da quattro individualità, molto diverse, ma capaci di amalgamarsi e creare in comune una sintesi nuova. Poi le basi, gli influssi musicali da cui partono, che risiedono essenzialmente nel rock&roll degli anni '50, che Lennon (e anche McCartney) omaggeranno significativamente anni dopo.

Quindi ascoltare oggi un disco dei Beatles e' per un certo verso sconcertante, sembra che manchi di unita', si viaggia come sulle montagne russe tra brani di ispirazione rock, brani che poi chiameremo pop, lenti sognanti, influssi country o addirittura di origine musical o colonna sonora da film, sperimentazione di nuovi suoni e arrangiamenti, influssi esotici e mistici (indiani soprattutto), chitarre distorte o acustiche, aperture psichedeliche.

Questo naturalmente non vale per i primi dischi , che erano estremamente compatti, ma e' una caratteristica che riguarda i dischi della maturità, a partire da Revolver in primo luogo, ma già ravvisabile nei precedenti capolavori Help! e Rubber soul.

Revolver brano per brano

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Si inizia con un brano di ispirazione R&R, Taxman, ritmato e supportato da un basso incalzante e punteggiato da mini-assoli di chitarra elettrica (a ruoli invertiti rispetto al solito, al basso è Goerge, di Paul l'assolo di chitarra), oltre a tutto, novità, l'autore e' George, subito dopo però si passa ad una atmosfera del tutto diversa, arrangiamento di archi e argomento malinconico (la gente sola, espulsa dalla vita) per il classico tra i classici Eleanor Rigby, un brano con zero elementi rock, che infatti venne scelto poco dopo per una splendida interpretazione da un grande cantante gia' allora entrato nel mainstream, Ray Charles, con qualche sconcerto da parte dei beatlesiani.

Ancora un paio di canzoni, un brano sognante e onirico di John (I'm Only Sleeping, con alcuni spiazzanti inserti di chitarra elettrica) ed un episodio vagamente ipnotico e decisamente indiano di George (Love You To, tutto un tappeto di sitar e tablas) e arriva un altro classico lento, con archi e cori a voce socchiusa, sempre di Paul, Here, There and Everywhere, cantato a due voci da Paul e John, ma subito dopo arriva un altro strappo, la marcetta ironica di Yellow Submarine, uno dei singoli tratti dall'LP, dove ci sarà anche la novità di Ringo per la prima volta alla voce solista in un singolo.

Evidentemente tutta la scaletta del disco e' basata sul contrasto. Ecco allora altre quattro canzoni tipiche del periodo di mezzo dei Beatles, tra cui la splendida For No One di Paul, con un arrangiamento che vede anche l'utilizzo del corno francese (le altre sono la ottimistica Good Day Sunshine di Paul, una specie di anteprima del classico Hello Goodbye, She Said, She Said, di John, tutta supportata da un tappeto di chitarre elettriche tipicamente anni '60, e And Your Bird Can Sing, sempre di John, un brano beat molto aperto e solare); quindi, almeno per una decina di minuti, un minimo di unitarietà, e poi ecco un altro salto nel passato con Doctor Robert (di John), ancora un R&R stile anni '50 rivisitati, che poteva stare benissimo nei primi dischi dei quattro, accanto a Money o Twist & Shout.

Torna ancora George con una canzone d'amore (I Want To Tell You) che lascia presagire i futuri capolavori come autore (alludo a Something) e infine, dopo un altro brano che e' ancora un salto in un altro stile, un arrangiamento con fiati stile Burt Bacharch o da musica da film, ma con inserti rock (Got to Get You Into My Life, di Paul) il più volte proclamato capolavoro, la grande novità, il brano che certifica, arrivando dai Beatles, i numero uno, l'inizio della nuova stagione psichedelica.

Si tratta ovviamente di Tomorrow Never Knows, nella quale John, l'autore, distilla le influenze orientali e indiane, sponsorizzate come noto soprattutto da George, ma raccolte dagli altri in modo più o meno convinto (molto, John, molto poco, Ringo, non si sa, Paul), in un brano avvolgente, in leggero crescendo, senza ritornello (chorus) su un tappeto di sonorità originali, non solo sitar ma suoni elettronici, e proto-sintetizzatori, grida di uccelli (pare) e percussioni e tablas, e un testo allusivo a viaggi e nuove esperienze da fare, cantata con voce distorta, come attraverso un megafono, da John. Poco meno di 3 minuti per un brano ipnotico che, per come è impostato, poteva durarne anche il doppio o il triplo, ma la semplicità è sempre stata la marcia in più dei Beatles. La strada però era indicata e sarebbe stata esplorata e approfondita da molti altri, a partire dai Pink Floyd che nello stesso anno uscivano ancora con album soprattutto di canzoni (The Piper at the Gates of Down - Il pifferaio alle porte del tramonto) ma già l'anno dopo sarebbero partiti con le suite, con Meedle (e il brano Echoes).

 

Ascolto ora come allora

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Quindi che impressione faceva un disco come Revolver a un ascoltatore dell'epoca? Gli piaceva? Capiva che era un lavoro basilare? Rispondeva alle sue aspettative? Sicuramente sì, i Beatles si erano caratterizzati come innovatori instancabili, sia nei comportamenti, nella immagine, sia nella musica. Quindi nessuna sorpresa a trovare nei loro dischi diversi stili, sia inventati da loro, sia magari acquisiti e accettati dal clima complessivo, anche se in questo caso forse poteva esserci una delusione per chi riteneva che i Beatles dovessero essere sempre i primi.

L'elemento sorpresa e l'approdo al Rythm & Blues

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Quindi la sorpresa, i salti, è quello che ci aspettiamo, nel '66, da un disco del gruppo numero 1, a partire dal package del disco stesso, che era un inatteso disegno a china dei quattro (molto bello, del bassista Klaus Woorman) in Revolver, e un autentico collage di idee e sorprese, coloratissimo, per Sgt. Pepper (mentre Revolver era tutto rigorosamente in bianco e nero, inclusa anche la foto sul retro).

Anche Sgt. Pepper era sicuramente un album sorprendente e all'altezza delle attese sin dalla copertina. Certo era un investimento possibile e pensabile solo con gli LP di allora e le loro copertine 33 x 33 cm, ora con i CD lo sforzo sarebbe sprecato o esagerato. Ma anche dentro, nella musica, le sorprese non mancavano. Intanto i fiati, e qui occorre fare un salto nel '66 e alla polemica tra beat e R&B.

Il beat era la musica di protesta, una protesta ingenua e pre-politica beninteso, e il suo suono era caratterizzato dalla chitarra, la Fender col distorsore in primo luogo, magari qualche arpeggio di chitarra acustica, niente più. I fiati, il sassofono, rappresentavano un suono che sapeva di vecchio, di musica di papà, come il jazz degli anni '50 che i giovani dell'epoca ignoravano tranquillamente e confondevano con il dixieland e le band italiane di Gorni Kramer o Gaslini. Come ignoravano che il rythm & blues era il padre del rock ma anche il figlio del blues, ed i fiati erano assai più sorgente di ritmo che le schitarrate.

Ma il beat stava esaurendo il suo ciclo, e la forza dirompente dei campioni del R&B fece il resto, quindi ben pochi resistettero ad Aretha Franklin, che nella sua stagione culminante proponeva cose come Think, Respect o Save Me, che avrebbero fatto smuovere e ballare chiunque, o ai classici di Wilson Pickett, o a Dancin' In The Street di Martha Reeves con le sue Vandellas, e non mancava il tasto soul con il grande Otis Redding.

Insomma il R&B trionfava nel 1967 e i Beatles nel loro Sgt.Pepper, proprio nel brano omonimo (di Paul) che era anche il singolo apripista, proponevano una sezione di fiati e un abbraccio al R&B (ma anche alle amate marcette e ai suoni da banda, una sottolineatura parodistica e ironica).
Come potevano i fan non pensare ai Beatles che seguivano la corrente, e gli antipatizzanti, i seguaci degli Stones, che stessero diventando un gruppo commerciale, a differenza dei loro campioni di trasgressione?
Invece dentro Sgt.Pepper c'era ben altro, e anche una compattezza e una struttura da album maggiore, e c'erano brani storici come A Day In The Life (il vertice di Lennon e McCartney, per molti) o un altro inno all'amicizia come With A Little Help From My Friends, o la splendida She's Leaving Home di Paul.

E inoltre ancora una volta il R&B avrebbe aperto la strada ad una riscoperta del jazz, attraverso il suono del suo strumento principe, il sax; solo pochi anni e la strada del jazz-rock iniziata da Miles Davis e continuata con successo planetario dai suoi musicisti, con il nome Weather Report, sarebbe diventato un fenomeno di massa, non ai livelli del rock, ma consistente, con eventi che coinvolgevano il grande pubblico dei giovani, come il nostro Umbria Jazz.

I Rolling Stones e il blues

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Sentire un disco degli Stones con l'orecchio di adesso e' ancora piu sconcertante. Intanto si nota una grande differenza, la unità di stile di ogni singolo album e' evidente, così come la fonte di ispirazione, che in questo caso e' solo una: il blues. Variano i tempi, canzoni veloci si alternano ad altre più lente, gli arrangiamenti a volte introducono strumenti acustici, ma il blues rimane l'elemento unificante. Anche la ricerca di altri suoni, che aveva come instancabile propugnatore Brian Jones, faceva sempre riferimento al blues, e passare nell'ascolto, in un album, da un classico brano blues a Paint It Black (con le sue cadenze orientaleggianti) o a Lady Jane (con la sua atmosfera medioevale) non fa saltare, sembra una sequenza logica.

La maggior parte dei brani degli album degli anni '60 degli Stones sono in ogni caso blues, a volte tradizionali, a volte dei maestri riconosciuti, tra tutti il bluesman degli anni '30 Robert Johnson, del quale gli Stones conoscevano i dischi (e non erano ad isprarsi a lui, un altro grande discepolo putativo era ed è Eric Clapton), scarne registrazioni per solo accompagnamento di chitarra acustica, e che amavano particolarmente (per Jones, Richards e Jarrett era il maestro).  E gli Stones riuscirono anche a portare al successo internazionale una delle sue composizioni in un arrangiamento quasi filologico (era Love In Vain).

Quindi se facevano rock blues bianco, come tanti altri prima e dopo di loro, perché erano e sono stati così importanti e seminali? Cosa li differenziava dagli iniziatori del blues bianco inglese, Alexis Korner e John Mayall, e dai loro continuatori, Eric Clapton, coi Cream o senza, gli Animals e così via, o dagli epigoni elettrici del delta blues B.B. King o Muddy Waters?

Era tutta questione di immagine, era il lavoro del loro manager Andrew Loog Oldham e il loro amore per la trasgressione che faceva la differenza, e rendeva i cinque i leader di una parte della loro generazione.
Così un blues molto semplice, ma tirato per undici minuti in Aftermath diventava qualcosa di anomalo e scandaloso, perché era proposto da loro, ed i loro testi arroganti e trasgressivi (Under My Thumb, Sympathy for the Devil) rendevano il vecchio blues qualcosa di moderno e giusto per una generazione che invece ignorava e rifiutava il jazz, che del blues era la logica prosecuzione.

Ascoltati oggi si rimane colpiti dal grande professionismo e dalla capacità di suonare, e di rendere sempre nuovi gli accordi del blues, così come anche dell'elemento di forza e di debolezza assieme rappresentato dalla voce e dal modo di proporsi di Jagger; senza la sua voce aggressiva e a tratti sguaiata il nuovo vestito del blues si sarebbe perso tra mille altre proposte, ma la sua voce perennemente forzata rende oggi vagamente datati e monotoni quegli ottimi lavori. Un marchio di fabbrica, ma anche uno scenario che nasconde la sostanza blues rock. Probabilmente se un ignaro ascoltatore frequentasse uno dei loro lavori, magari Let It Bleed, senza sapere né chi sono né di quanti anni fa è quel disco (del 1969) apprezzerebbe il tiro, la maestria del suono compatto, la sincera ispirazione blues, ma faticherebbe a individuare qualcosa di peculiare che rende quel disco più importante e più influente di tanti altri ottimi lavori rock-blues.

Aftermath

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Il disco che gli Stones hanno proposto lo stesso anno di Revolver (il 1966) si apre con un brano noto, già uscito su 45 (era il retro di Lady Jane), Mother's Little Helper, molto ritmato e caratterizzato dalla chitarra elettrica di Brian che imita strumenti e melodie orientali, sulla scia di Paint It Black e degli studi dello stesso Jones sulle musiche del Maghreb. Un brano rockeggiante e vagamente parodistico, Stupid Girl, fa da ponte all'altro grande successo contenuto nell'album, Lady Jane, con il sottofondo di chitarra acustica in pizzicato che imita il clavicembalo, che poi effettivamente si aggiunge (harpsicord, suonato da Jack Nitzsche) evocando suoni medievali, in linea con il testo, il tutto supportato da una convincente e misurata interpretazione di Mick alla voce.
Da questo punto in poi è tutta una compatta sequenza di brani blues rock con qualche residua concessione allo stile beat, a cominciare da Under My Thumb, dal testo vagamente sessista (e alcuni provocanti sussurri di Mick); i momenti che rimangono maggiormente impressi sono la lunga e insistita Going Home, undici minuti di insistito e ipnotico blues, trasgressiva anche solo per questa infrazione dei limiti temporali standard della canzone (i tre minuti. eredità del disco a 78 giri), la bellissima Out Of Time, già prestata da Jagger e Richards al soul singer inglese Chris Farlowe e da lui portata al successo internazionale,

Per il resto il disco si divide equamente tra stile beat e rock blues. It's Not Easy, I Am Waiting, e Take It Or Leave It (quest'ultimo anche vagamente pop, essendo molto orecchiabile) hanno elementi stilistici beat, mentre più autenticamente rock blues sono Doncha Bother Me, Flight 505, High and Dry, Think, quest'ultima quasi un ponte tra i due generi; in tutti i brani comunque si ascolta un basso elettrico incalzante, dovuto allo specialista Bill Wyman, le chitarre elettriche di Brian e Keith che rivaleggiano, inserti di armonica in stile delta blues, e spesso il piano stride a completare il sottofondo strumentale (Jack Nitzsche).

In definitiva un disco compatto, forte, che non a caso gli appassionati dell'epoca individuavano in linea con i loro desideri di trovare nella musica una risposta forte al loro desiderio di rottura degli schemi rigidi della società di quegli anni, ed eleggevano a loro disco preferito.

Per saperne di più: Beatles versus Rolling Stones, gli inizi e le due carriere in parallelo
 

© Musica & Memoria 2003 / Rev. giugno 2004

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