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Matia Bazar - Palestina (1983)

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Questo vento nero sa di Africa
L'elefante bianco era già li
Il leone in gabbia vecchia America
Grigia neve sabbia di pop corn

Palestina ah ah
Oh ah ah
Palestina ah ah
Ah ah ah ah

I canguri giù in Australia ballano
Radio Sidney dice "Tutto ok"
La muraglia invecchia e perde fascino
Pietroburgo è il nome del Big Ben

Palestina ah ah
Oh ah ah
Palestina ah ah
Ah ah ah ah

I faraoni di Mercurio affogano
Sorella sfinge nei suoi vecchi quiz
L'antico oracolo non sa rispondere
A quel turista in cerca di un motel

 

Note

Seconda traccia in Tango del 1983, l'album con Vacanze romane, l'efficacissimo brano che li aveva portati al successo sino ad essere senza dubbio il gruppo più popolare in Italia nel decennio e segnava l'inizio di un periodo veramente fecondo per il gruppo, all'epoca confuso nel pop e nella musica leggera da molti appassionati di rock e dai critici musicali, ma da qualche anno riscoperto come uno dei pochi di livello internazionale, come creatività, testi originali, grande efficacia e professionalità dal vivo, non soltanto della giovane (31 anni) e formidabile front-woman Antonella Ruggiero. Palestina era stato anche scelto come lato B del 45 giri con Vacanze romane (il vinile era ancora il supporto unico per la musica, il CD iniziava la commercializzazione in quello stesso anno 1983).

Per i Matia Bazar era il settimo album di una carriera iniziata nel 1975 all'insegna del pop e che ora abbracciava decisamente le nuove sonorità syinth pop o electro pop che all'estero iniziavano a caratterizzare il decennio con gruppi come gli Ultravox o i Kraftwerk, diventando uno dei riferimenti anche a livello europeo del nuovo stile che carettrizzà gli anni '80. Nel gruppo un forte impulso alla svolta veniva dal tastierista e pionere della musica su comptuer Mauro Sabbione, autore della musica di questo brano, che lascerà in seguito i Matia Bazar per una sua carriera, ma l'impronta musicale e il mix tra melodia, voce eterea di Antonella Ruggiero e groove incalzanti rimarranno il loro marchio di fabbrica. Il testo, come della maggior parte dei brani del gruppo, era del bassista Aldo Stellita.

Il testo

Una serie di frasi nonsense e un procedimento non molto diverso da quello contemporaneo di Franco Battiato per attirare l'attenzione di chi ascolta, sono il primo tratto caratteristico che si coglie ascoltando questo brano. Non si tratta però in questo caso di significati nascosti in antiche culture o di satira musicale. Sono metafore a corredo del tema della canzone che è evidentemente, sin dal titolo, la contraddizione tra due opposte verità.
Non c'è contraddizione più plateale di quella che vive la Palestina (allora come ora): terra di riscatto e rinascita per il popolo ebraico dopo il tentativo di sterminarlo da parte dei nazisti, ma terra usurpata per i palestinesi che vi abitavano e che non accettano i nuovi occupanti (mentre accettavano tranquillamente i precedenti, gli inglesi). Movimento di liberazione e di autodeterminazione di un popolo, che però si trasforma in terrorismo (coinvolgendo anche l'Italia) proprio nel decennio appena passato. I primi simbolo di libertà ritrovata per tutti i Paesi dell'Occidente e per la destra mondiale, i secondi simbolo di libertà oppressa per tutta la sinistra mondiale, sovietica e non.

Per rimarcare in modo provocatorio questa contraddizione nel video clip della canzone Antonella Ruggiero nel refrain passa alternativa dal simbolo di destra per eccellenza (il saluto romano) al simbolo di sinistra per eccellenza (il pugno chiuso). Una provocazione molto poco apprezzata in RAI e quindi regolarmente oscurata nelle presentazioni del brano (come ricorda Mauro Sabbione su YouTube e Facebook). Le vediamo nelle immagini qui sopra, il video si trova su YouTube con facilità.

Le metafore

Proviamo a dipanarne qualcuna. L'elefante bianco (albino) è un tramite tra divinità e uomo in Asia, ma in Africa è quasi sconosciuto. Si riferisce invece probabilmente alla metafora anglosassone: investimento esagerato, sfoggio eccessivo di lusso, contrapposta al triste leone in gabbia del vecchio circo Barnum. I canguri sono una semplice immagine d'effetto, mentre il fascino calante della Cina comunista (Mao era morto 7 anni prima) è contrapposto all'incerto futuro dell'URSS (Breznev era appena deceduto, un paio di mesi prima, Pietroburgo non si chiamava così, era ancora Leningrado, e qui senza volere Stellita è profetico). L'ultima strofa, a parte l'oscuro riferimento a Mercurio (il pianeta, si presume) immagina la Sfinge arrivata agli anni '80 ed in difficoltà a dare le informazioni ai turisti di passaggio in Egitto, come se fosse Internet o Google Maps.

 

Musica & Memoria Ottobre 2020 / Testo originale di Aldo Stellita riprodotto per soli scopi di ricerca e critica musicale (vedi Disclaimer) / Copia per usi commerciali non consentita

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