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Intervista a Dario Capelli - I Chiodi

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1) Questa volta voglio iniziare proprio dal periodo beat. Voi eravate già un gruppo attivo nel settore dei locali e dei concerti, e anche con dischi all’attivo, nel periodo pre-beat. Come vi siete accorti che stava arrivando qualcosa di nuovo?

Ci siamo accorti del cambiamento radicale in atto,  soprattutto dall’improvvisa ondata di un nuovo modo di fare musica.
Gruppi come Animals, Beatles, Rolling Stones, The Mamas & The Papas, Beach Boys ecc. ottenevano grandi successi internazionali con esecuzioni basate prevalentemente su ritmica molto accentuata, mixata ad originali ed accattivanti vocalità.
Noi pure prendemmo spunto da questo nuovo filone arrangiando i ns. pezzi con armonizzazione delle voci e con sonorità strumentali più in evidenza.

2) E cosa avete fatto per adeguarvi ai tempi nuovi ?

Grazie alla preparazione e alla predisposizione musicale di Silvio (Rossi) inserivamo nel ns. repertorio anche canzoni molto elaborate e spesso difficoltose che però riuscivano a trascinare e ottenevano grande effetto sul ns. pubblico.

3) Sono stati manager e impresari a indirizzarvi verso le nuove sonorità e il nuovo modo di presentarsi o è stata più una spinta vostra? Come sono andate le cose?

Abbiamo sempre gestito autonomamente sia il modo di far musica che il ns. look ( Gigi lavorava nell’abbigliamento ed era lo stilista di fiducia)

4) Il vostro primo disco del nuovo corso è stato “Nel solaio dei tuoi sogni”, una cover. Come è stata scelta questa canzone (sicuramente l’originale In the Rooftops of your Mind non era molto noto neanche all’epoca)? Idea vostra o dei discografici?

I ns. discografici, Cesare La Loggia e Oscar Anselmo, non facevano parte delle major, ma erano molto attenti al mercato americano.  Ci proponevano spesso brani sconosciuti in Italia,  ma tutti molto originali. A noi poi lasciavano la scelta del pezzo da incidere. Fu cosi’ che nel 1966, tra le varie proposte, scegliemmo “Nel solaio dei tuoi sogni” perché meglio si adattava al nostro modo di interpretazione

5) E il testo italiano, piuttosto insolito e in anticipo sugli anni? Da dove è uscito fuori e cosa ne avete pensato all’epoca?

Da dove sia uscito fuori non lo sappiamo, ma certo è che il testo scritto da Amenni, un autore già affermato in Italia, ci piacque subito proprio per la sua originalità e freschezza.

6) In generale, che musica ascoltavate e da quali fonti (dischi import, radio estere, dischi o spartiti nazionali, registrazioni di amici)?

Ascoltavamo molta musica pop e qualche volta anche musica jazz. La radio, ma soprattutto i dischi 45 giri erano i mezzi più utilizzati.  In particolare per far nostri gli ultimi successi utilizzavamo il mitico”mangiadischi” con l’ausilio del quale Silvio riusciva, ad orecchio, ad individuare tonalità, accordi, melodie, stendendo quindi un primo arrangiamento di base per l’esecuzione del pezzo. Raramente utilizzavamo spartiti.

7) In particolare, ascoltavate le radio straniere, Radio Luxembourg ad esempio, per conoscere in anteprima i successi stranieri, in particolare nel Regno Unito?

Rino faceva l’agente di commercio e sulla sua Lancia 2C aveva già l’autoradio. Passando molto tempo in auto si sintonizzava spesso su Radio Montecarlo, Capodistria o Radio Luxembourg.
…… Quando ci incontravamo arrivava sempre tutto eccitato per le nuove proposte che riusciva ad ascoltare e a volte a registrare con uno dei primissimi registratori portatili

8) Da che parte stavate: Beatles o Rolling Stones?

Noi tutti,  pur apprezzando il sound dei Rolling Stones, eravamo decisamente per i Beatles.

9) Altri gruppi o cantanti stranieri che passavano spesso sul vostro giradischi?

Yarbirds, Deep Purple, Mamas& Papas, Procol Harum, Rockes,Santana, e tra i cantanti Frank Sinatra aveva la precedenza

10) Qual era il vostro rapporto col movimento beat, eravate in qualche modo influenzati o collegati con esso?

Devo dire che eravamo piuttosto staccati e poco influenzati dalle mode che il movimento beat stava diffondendo. Eravamo cioè persone molto normali (niente capelli lunghi o abiti particolarmente stravaganti). Avevamo tutti un lavoro che ci permetteva di vivere e la musica rappresentava una seconda attività praticata più per hobby che per altro.

11) Dalla piccola casa discografica che vi seguiva sin dagli inizi siete passati nel ’67 ad una casa più grande, la Loiseres. Come sono andate le cose? Vi hanno cercato loro? Che contratto avevate?

E’ stata solo una mossa commerciale. I produttori erano sempre gli stessi.  Ad un certo punto decisero di dare un nome diverso all’etichetta trasformando “Novelty” in “Loiseres”

12) Con la Loiseres avete puntato ad un successo più ampio con due cover, questa volta molto più note: I’m a Believer dei Monkees e Homeward Bound di Simon & Garfunkel. Qual era nelle intenzioni il brano portante, il lato A?

La casa discografica aveva puntato sul brano di Simon & Garfunkel, ma in seguito,  come spesso succede,  il brano di maggior successo si rivelò “Accendi una stella”,  forse anche grazie alla forte diffusione data da Radio Montecarlo e dalla RAI nazionale con la Trasmissione “Batto Quattro” condotta da Gino Bramieri.

13) Ci racconti qualcosa delle sessioni di registrazione di questo periodo? Veloci “buona la prima), lente e reiterate? Con attrezzature di prim’ordine o rimediate?

Abbiamo registrato i nostri primi dischi in uno studio (non ricordo il nome) di via Ludovico Il Moro a Milano. Lo studio era uno tra i più attrezzati,  con un fonico (Severino) tra i più accreditati e richiesti del momento
Non curavamo troppo le sovraincisioni e usavamo i ns. strumenti per le basi …..In 7 o 8 ore riuscivamo a registrare i 2 brani del 45 giri

14) Come avete promozionato il singolo “Accendi una stella”? Siete riusciti a ottenere passaggi radio o TV?

La promozione era partita bene con il disco accettato sia in Rai che a Radio Montecarlo e con buone recensioni sulle riviste musicali del momento. Purtroppo però con l’uscita della versione di Caterina Caselli (Sono bugiarda) sigla del programma televisivo del sabato sera di RAI UNO, la nostra versione venne a poco a poco accantonata dalle programmazioni. 

15) In generale, come è stata portata avanti la promozione dei vostri dischi, la casa discografica è stata all’altezza delle vostre aspettative?

Ti ricordo che noi non eravamo dei professionisti, perciò,  anche per mancanza di tempo, non potevamo partecipare massicciamente a manifestazioni nazionali dove i discografici possono promozionare al meglio i propri prodotti. La casa discografica comunque ci fece esibire in più occasioni in eventi importanti come il Cantagiro (Autodromo di Monza) ed alla Sei giorni ciclistica del Vigorelli a Milano, facendo da spalla a gruppi e a cantanti più famosi.

16) Le altre cover che avete inciso erano tratte da originali UK e US veramente poco noti. Come sono arrivati a voi?

Cesare, uno dei ns. produttori, aveva buoni contatti anche con la RCA ed era molto attento a tutte le nuove produzioni che arrivavano dall’estero. Quando scopriva un pezzo idoneo al ns stile lo sottoponeva al ns vaglio.

17) Nelle foto del periodo beat sembravate “capelloni” anche voi. Hai qualche aneddoto sulle reazioni positive e negative da parte degli altri (giovani e adulti)?

I Chiodi non sono mai stati ”capelloni” (il più folto era Gigi, come adesso).
Gli apprezzamenti erano in genere : di stima,da parte degli adulti,  e di meraviglia da parte dei giovani

18) Gli strumenti erano una ricchezza e una fissazione per i complessi dell’epoca (ma anche ora). Tu che marca e modello di strumento usavi? E gli altri del gruppo?

Anche per questo debbo dire che non abbiamo mai seguito le mode, badando semplicemente alla bontà e alla praticità degli strumenti. Io ho sempre usato il basso Zerosette (una sottomarca, ma eccezionale) che uso tuttora. Anche Rino usava una chitarra Zerosette che più avanti, per maltrattamenti, dovette sostituire con una Gibson. Franco usava e usa tuttora una batteria Roger, venduta negli anni '70 al fratello di Roby Facchinetti dei Pooh e poi successivamente riacquistata per nostalgia. Silvio e Gigi possedevano una tastiera Farfisa e si alternavano anche al vibrafono e alla fisarmonica. Questi strumenti purtroppo sono andati perduti nel tempo e Gigi attualmente utilizza una tastiera Roland

19) Tornando alla vostra esperienza discografica. Avete mai provato a proporre qualche brano composto da voi?

La produzione discografica nacque proprio con brani scritti da noi e, fatto molto curioso per il mercato discografico, furono scritti in dialetto bergamasco (AI AU A ET I AE,  Quando la mama la fa i calsete) Pure l’ultimo 45 giri inciso nel 1969 su etichetta Vedette,  sotto la direzione artistica di Roby Facchinetti e con il nome del gruppo modificato secondo la moda del momento in “I nuovi Chiodi”, conteneva due canzoni. (Canta e Balla e Il tuo Viso) scritte da Rino e Silvio, ma ufficialmente firmate da Roby Facchinetti e Valerio Negrini in quanto nessuno di noi era iscritto alla SIAE.

20) Avete pianificato o proposto o progettato all’epoca un LP tutto per voi?

Prima di approdare alla Vedette i nostri produttori avrebbero voluto realizzare un album, ma a condizione di passare al professionismo. La ns scelta fu quella di non lasciare le ns. attività lavorative, di continuare a suonare per divertirci e quindi di rimanere nella categoria dgli amatoriali. Cosi’ fini’ il nostro periodo discografico con i nostri primi produttori.

21) Quali erano gli altri gruppi italiani che apprezzavate di più, magari per esperienza e conoscenza diretta?

Equipe 84, I Ribelli, I Camaleonti, I Dik Dik, I Giganti, I Profeti, I Pooh,  Formula Tre e quelli con cui abbiano suonato in alcune occasioni: I Nomadi( a Rivolta D’adda) I Campioni (al Tricheco di Milano) Fausto Leali (alla Ruota Di Caravaggio)

22) E poi: qualsiasi altra curiosità o aneddoto o episodio interessante del periodo beat, che non mi è venuto ancora in mente di domandare …

Uno tra gli episodi più significativi che ricordo avvenne nell'agosto 1967. Stavamo lavorando in un locale sulla spiaggia di Gava, alle porte di Barcellona, (sul nostro sito, tra i reperti storici, esiste il documento originale del contratto). Ci esibivamo ogni notte alternandoci ad altri due gruppi, uno spagnolo e l'altro olandese. Questi ultimi, bravissimi ma con il difetto di abusare di birra e superalcolici, si presentarono una sera ubriachi fradici, tanto che il direttore del locale proibì loro di esibirsi, licenziandoli sui due piedi. Serviva un'idea per tamponare l'emergenza e coprire il "buco".
La fantasia italiana si scatenò immediatamente! Ci vestimmo con costumi da "toreri" trovati non so dove e via sul palco al suono scatenato di un Flamenco Rock. Successe di tutto!!
Per completare l'opera, Gigi improvvisamente prese un trombone trovato in un angolo (prima non aveva mai messo in bocca uno strumento a fiato) e si mise a suonare note assurde e dissonanti.
Il pubblico in sala era al colmo del divertimento; fu un grande successo, più comico che musicale, che lasciò il segno per parecchio. Dopo alcuni mesi,il proprietario del locale, contattando il noastro impresario ,raccomandò di inviargli sempre artisti come "Los Clavos" (i chiodi in spagnolo).

23) E adesso torniamo ai vostri inizi pre-beat: come si sono formati I Chiodi? Come mai avete scelto questo nome?

L’inizio risale al 1959. Rino e Franco erano compagni di scuola di Silvio (idolo delle ragazzine perché suonava la fisarmonica e cantava) … come fare per sfruttare meglio la situazione? I tre si mettono insieme e creano un complessino. Rino va a scuola di chitarra. Franco compera la sua prima batteria, aggiungono un amico più grande Jonny Bugini che aveva avuto precedenti esperienze con il complesso I Falchi (con lui suonava anche Gigi, fratello di Silvio che poi entrerà nei Chiodi) ed ecco creato il complessino “Little Rockers”. Cominciano ad arrivare le prime richieste dai dancing della bergamasca ed allora decidono di darsi un nome in italiano più originale e spiritoso (io non facevo ancora parte del gruppo). In quel periodo si usavano nomi altisonanti ( I Draghi, I Boing, I Watussi, I Diavoli Rossi, I Boys). Per essere originali e un po’ con falsa modestia scelgono il nome “I Chiodi” (in bergamasco essere chiodi è sinonimo di incapaci).
E’ in quel periodo che con l’inserimento di Gigi ed il mio (Jonny abbandona per amore) si forma poi il gruppo originale

24) Qual era il vostro rapporto con la musica in questo primo periodo? Eravate già professionisti e/o conoscitori dei vostri strumenti o tutto è nato assieme al complesso?

Gigi e Silvio erano i veri musicisti in quanto avevano studiato per alcuni anni fisarmonica frequentando la scuola del maestro Ravasio (Silvio da ragazzino era stato campione nazionale di fisarmonica) e da tempo partecipavano agli spettacoli del padre che aveva una compagnia comica di teatro, mentre io mi dilettavo al pianoforte, ma nel gruppo diventai poi il bassista.

25) C’era un “leader” tra di voi, uno che trainava il gruppo e/o che si presentava come front-man nei concerti?

Il più preparato era certamente Silvio tant'è che nel 1971 decise di andare a suonare sulle navi da crociera e poi di fermarsi negli Stati Uniti dove tuttora suona e canta nei locali di Miami

26) Qual era la differenza principale che avete percepito tra la fase pre-beat, quella dei locali da ballo, della musica di puro intrattenimento, e la esplosione del fenomeno beat, quando alla musica si chiedeva qualcosa di più?

Nella fase pre beat bastava fare buona musica da ballo. Con il beat sono emerse esigenze maggiori sia dal punto di vista musicale sia dal punto di vista della coreografia. Ai gruppi infatti veniva richiesta non solo una sempre maggiore attenzione nella scelta del repertorio e nell’originalità delle interpretazioni, ma anche una maggiore attitudine a fare spettacolo con effetti sonori, di luci o quant’altro potesse stupire ed attrarre il pubblico.

27) Voi eravate già sul palco e davanti al pubblico, godevate di un buon punto di osservazione mentre i tempi e le mode cambiavano velocemente e si preparava sotterranea la esplosione del beat. Qualche episodio premonitore che avete percepito?

Il nostro gruppo era tra i più richiesti nella zona Bergamo – Milano ed in alcune circostanze importanti abbiamo avuto la possibilità di alternarci a gruppi emergenti. Ad esempio ricordo che condividemmo il palco, in un locale alla moda di Milano chiamato Il Tricheco, dove per diversi mesi ci esibimmo unitamente ai Campioni,  il cui chitarrista era un ragazzino tutto riccioli dal nome di Lucio Battisti. Fu li che incominciai ad avere qualche avvisaglia di quali cose sarebbero successe in seguito

28) E invece quand’è che avete avuto sentore che scricchiolava il mondo beat, e per tutta la enorme massa dei complessi che tentavano di conquistare un loro cono di luce iniziava la inevitabile fase di selezione?

A mio parere la fase calante del beat iniziò con l’arrivo dei gruppi che proponevano rock duro con utilizzo di mega amplificatori, impianti assordanti e distorsioni utilizzate all’inverosimile a cui, forse per reazione, si contrappose il filone del "liscio", che poi prese sempre più piede ed ancora oggi resiste.

29) La fine di una esperienza professionistica decisamente lunga per gli standard degli anni ’60 non è, probabilmente, una delle fasi più piacevoli da raccontare. Vuoi comunque ricordarci come è andata e come si è chiusa la prima fase dei Chiodi?

Per noi è stato un atterraggio morbido in quanto non avendo mai abbracciato la professione del musicista, nel senso vero della parola, non abbiamo risentito di particolari traumi

30) Ma, 25 anni dopo, avete deciso di ricominciare, praticamente con la stessa formazione. Come vi è venuto in mente?

Non ci siamo mai persi di vista. (l’amicizia è sempre stato un forte legame che ci ha tenuto uniti). Nel 1996 Franco, il batterista, organizza la festa dello sport nel suo quartiere e ci propone di fare un concertino….. Sorpresa! Arriva tanta folla; moltissimi si ricordano di noi ed è un successo. Perché non riprendere seriamente visto che ancora ci divertiamo?? La formazione è orfana di Silvio, ma grazie alla voglia della gente di musica beat ed alla simpatia che ci viene dimostrata, I Chiodi ritornano sull’onda.

31) E’ stato divertente, ne è valsa la pena, a parte l’interesse per il revival degli “indimenticabili anni ’60”?

Sono passati ormai 12 anni da quella festa e ci stiamo ancora divertendo. Incidiamo ancora dischi ed abbiamo partecipato a trasmissioni radiofoniche e televisive (Girofestival RAI 3; FESTIVAL SHOW di Radio Birikina; Dammi il 5 TELENOVA)…… MEGLIO DI COSI’

32) Per finire, una incursione sulla situazione musicale di oggi. Se dovessi indicare dei gruppi attivi ora che lasceranno un segno, come lo hanno lasciato molti gruppi e musicisti degli anni ‘60 (che si ascolteranno ancora per chissà quanti anni), quali sono i primi tre nomi che ti vengono in mente?

Penso che lasciare il segno oggi sia molto più difficile di una volta in quanto la musica, anche la migliore,  si brucia in fretta.  Le radio,  ma anche la televisione, non ti danno il tempo,  salvo alcune rare eccezioni, di innamorarti o anche solo di meglio apprezzare un gruppo o un cantante. In poche parole c’è una sorta di rincorsa inflazionistica della musica che fa male alla musica stessa.
Comunque, per non eludere la domanda, alcuni gruppi che a mio parere lasceranno il segno (a parte gli inossidabili POOH, NOMADI, MATIA BAZAR ecc.) sono:
Le Vibrazioni, I Negramaro, Mario Biondi.

Per saperne di più: Il sito dei Chiodi

 

© Musica & Memoria Maggio 2008 / Intervista di Alberto Truffi / Riproduzione non consentita

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