Dopo oltre 15
mesi dalla sua presentazione (13 ottobre 2006)
la caduta del governo Prodi per opera del micro partito Udeur del
senatore Mastella (in parlamento in qualità di "miglior perdente" ai
sensi dell'attuale legge elettorale, il cosiddetto "porcellum") ha messo
la parola fine sul disegno di legge (DDL) del ministro delle
Comunicazioni Paolo Gentiloni.
La nuova legge, che avrebbe dovuto superare la molto criticata (dal
centrosinistra) "legge
Gasparri" e chiudere la lunga stagione del duopolio televisivo,
liberando spazi per nuovi editori e nuove tecnologie (digitale
terrestre, IpTV, DVB-H) nel lungo
periodo di gestazione non è neanche uscita dalle commissioni della
Camera e del Senato per affrontare una delle due aule. Una vicenda che
ha rappresentato in modo plastico la tendenza alla paralisi per veti
contrapposti della coalizione di centro-sinistra, battezzata
ottimisticamente "L'Unione"; in questo caso una paralisi particolarmente
incomprensibile, essendo il settore televisivo, come noto, il principale
asset del leader avversario.
Rimane quindi in vigore la legge Gasparri, con alcuni aggiornamenti sui
tempi per lo switch-over alla DTT, ora realisticamente riportata al 2012
come nel resto d'Europa.
Rimane anche del tutto invariata la occupazione di frequenze in eccesso
da parte di Rete 4, ai danni delle reti Europa 7 e La7, giudicata
illegale anche dalla Corte europea, oltre che dalla Corte costituzionale
italiana, ormai molti anni fa.
Avevamo modestamente osservato (il 29 gennaio
2007 e in seguito
anche qui), poco dopo la presentazione della legge, che sarebbe
stato più efficace velocizzare l'avvio della DTT, sfruttando i contenuti
della stessa legge Gasparri senza modificarla, liberando così spazi per
altri editori e reti, e lasciando che a questa opportunità seguisse il
naturale riequilibrio della raccolta pubblicitaria. Il governo di
centro-sinistra ha invece preferito la strada legislativa "tutto o
niente" raccogliendo, se non niente, molto poco.
La gestione Gentiloni porta a casa,
oltre a un concreto avvio del percorso verso la DTT (a differenza dei
governi e ministri precedenti del centro-destra, che la perseguivano,
con ogni evidenza, solo a parole):
- un primo passo, modesto in quantità ma significativo come tendenza,
verso il riordino delle frequenze; passo che comunque non incide in
alcun modo sulla situazione ormai storica di caos delle frequenze
radiofoniche locali;
- l'avvio concreto del nuovo standard di comunicazione
Wi-Max, con l'asta al rialzo
attualmente in corso che si sta configurando come un grande successo.
Questo bilancio non particolarmente ricco e visibile per i cittadini è
ulteriormente appesantito dalla quasi totale assenza di risultati sul
versante della TV pubblica. In RAI
l'unica variazione è stata la sostituzione della direzione del
principale telegiornale, il TG1, e del direttore generale (peraltro la
precedente nomina è stata nel frattempo giudicata illegale), operazione
concordata con la opposizione. Dopo oltre un anno di governo di CS è
stato sostituito il consigliere di nomina governativa, ancora di
centro-destra, ottenendo la maggioranza del consiglio di
amministrazione, con l'obiettivo di far approvare così un piano
industriale che prevedeva interventi orientati a contrastare il
monopolio privato e a inserire nuovi manager in sintonia con la
maggioranza in sostituzione di quelli precedenti (in sintonia con la
maggioranza di centro destra).
L'azione è stata però vanificata da un voto del Senato che bloccava il
suddetto piano industriale, nel quale decisivi erano ancora una volta il
sopra citato Mastella (che si è mosso in questo settore come autentico
curatore degli interessi di Berlusconi all'interno dell'Unione, fino
all'ultimo atto) e del senatore Bordon e suoi pochi seguaci (uno),
fuoriusciti dall'Ulivo. A prescindere da ogni giudizio di merito sulla
TV pubblica, suoi presunti obiettivi culturali e sua del tutto teorica
indipendenza dalla maggioranza di turno, si è notata una ben maggiore
efficienza del centro destra nel prenderne il controllo, rispetto a un
centro sinistra che ha dimostrato invece la distanza che passa tra la
volontà e il risultato.
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